L’Airone a Scuola – Incontro con Crosetti
Un uomo solo al comando. La sua maglia è bianco-celeste. Il suo nome è Fausto Coppi.
Questo proclamava, con ammirata solennità, Mario Ferretti nel commentare una delle imprese sportive più grandiose della storia: la fuga vittoriosa di Coppi nella tappa Cuneo – Pinerolo del Giro d’Italia del 1949. Sono trascorsi più di settant’anni, ma tra le tante voci che hanno ricordato in questi mesi il Campionissimo ci sono anche le 22 che Maurizio Crosetti, giornalista sportivo di “Repubblica” e scrittore di qualità, ha ricostruito con lavoro certosino, unendole in un originalissimo romanzo corale in cui si sommano, approfondiscono e talvolta anche contrappongono le parole di chi è vissuto al fianco di Fausto Coppi.
Mercoledì 22 Gennaio 2020 abbiamo avuto il piacere di ospitare al Romero proprio Crosetti e di dialogare con lui a partire dal suo libro Il suo nome è Fausto Coppi, all’interno del progetto “Lo Struzzo a Scuola” organizzato dall’Einaudi per portare nelle scuole gli autori (da qui il gioco di parole del titolo dell’articolo: se lo struzzo è il simbolo della casa editrice torinese, l’Airone è uno dei tantissimi soprannomi di Coppi). Ben otto classi e circa duecento studenti hanno letto con attenzione il testo, restando affascinati dal gioco di prospettive e un po’ sorpresi dal notare che, più che di ciclismo, si parlava di un uomo, eroico sì eppure sempre uomo, fragile e complesso, oscuro e schivo, gentile e tragico.
Come Crosetti, sollecitato da numerose domande, ha saputo ben spiegare ai ragazzi, scrivere e parlare di Fausto Coppi significa trattare della storia dell’Italia, seguendone il tortuoso itinerario che ha dovuto affrontare in mezzo alla devastazione della Seconda Guerra Mondiale e nel successivo tentativo di ripresa. Raccontando l’infanzia umilissima di Fausto e della sua famiglia, la sua esperienza da garzone, la durezza della vita contadina e della piccola borghesia, i durissimi allenamenti organizzati da Biagio Cavanna (il massaggiatore cieco, mentore e stregone), il rapporto insostituibile con il fratello Serse, lo sconvolgimento dei lutti, lo scandalo della Dama Bianca, l’abbandono del nido famigliare e l’affannoso desiderio di continuare a correre non si può non cogliere la tragicità della vita di Fausto e, forse, di ogni vita. Coppi fu un campione eccezionale, il più grande di tutti secondo alcuni, eppure morì a soli quarant’anni per la puntura del più subdolo animale, una zanzara che gli trasmise la malaria durante un viaggio in Africa per una tournée ciclistica. Vinse le corse più prestigiose e inflisse distacchi abissali ai forti avversari (come dimenticare il “in attesa del secondo trasmettiamo musica da ballo” con cui Nicolò Carosio siglò la vittoria alla Milano – San Remo del 1946?), eppure Fausto si portava dentro un tarlo che lo consumava e nei giorni bui lo abbatteva, togliendogli la forza di pedalare e portandolo in lacrime. Consumò una vita ad accumulare successi e fruttuosi ingaggi, soprattutto nei galà su pista, ma non poté che goderne in piccolissima parte, lasciando troppo presto i suoi cari e i suoi tifosi a ricordarlo nel suo alone di leggenda. Del resto, dicevano gli antichi, “muore giovane chi è caro agli dei”.